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GISSI, LA STORIA


Alle origini la nostra Regione era abitata da popoli di diversa provenienza e indipendenti tra di loro: Vestini, Marsi, Marrucini, Peligni, Frentani ecc., che una volta vinti dai Romani, divennero loro alleati ed ottennero la cittadinanza romana. Più  tardi fiorì il Monachesimo che segnò il passaggio dall’era pagana a quella cristiana. Alla caduta dell’Impero Romano seguirono le invasioni barbariche, ed agli albori dell’anno 1000 sorsero la grandi famiglie feudali. Longobardi,  Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi, Spagnoli ed infine i Borboni, lungo alterne vicende crearono e mantennero, bene o male, una organizzazione giuridico-politica a salvaguardia della stabilità ed autorità di uno stato con capitale Napoli, posto  al centro della nostra Penisola. Nel contesto di questa lunga storia, per quanto ci può riguardare più da vicino, s’inserisce una numerosa serie di marchesi e conti appartenenti ad un’unica grande famiglia feudale: i D’Avalos.  Nel 1497 Ferdinando d’Aragona, re di Napoli, nominò Innigo Il marchese del Vasto e Conte di Monteodorisio, alle cui dipendenze si trovavano numerosi feudi costituiti dai paesi sparsi nel territorio. Gli successe il figlio, Alfonso d’Avalos,  le cui imprese militari al servizio di Carlo V furono celebrate dall’Ariosto nel XV canto dell’Orlando Furioso.’ La signoria della famiglia d’Avalos durò circa quattro secoli e terminò con la soppressione del Feudalesimo,  sancita con Decreto 12 agosto 1806, per opera di Gioacchino Murat, in conseguenza della proclamazione della Repubblica Partenopea del 1799. Finalmente dopo le guerre d’Indipendenza, anche l’Abruzzo fu annesso al Regno d’Italia, il  21 ottobre 1860.
Il territorio di Gissi (rif. stralci I.G.M. 1:100.000/1:25.000) fu interessato fin dall’antichità da un sostenuto livello insediativo ciò è dimostrato dal numero delle segnalazioni che verso la fine del XIX secolo  furono raccolte da De Nino e Colonna. De Nino intervenne a proposito del sito Santa Lucia (toponimo a quota 498 mt. s. m. a ovest dell’abitato e Colle S.Lucia a quota 403 mt. a sud) e poi del Colle S.Giovanni luogo dove, durante operazioni di scavo  condotte nel 1892, furono scoperte tombe e molti altri oggetti tra cui uno stamnos di bucchero italico, una Kotyle, frammenti d’una sottilissima coppa in bronzo, una lancia in ferro nonché un pezzo di torquis in bronzo con graffiti ad occhiello.  Il De Nino scriveva nel 1896, lo stesso anno Colonna aveva rilevato i ritrovamenti sul Colle Rovelizio nei pressi della masseria di Cesare Marisi ( toponimi quota 282 e 277 mt. s.m. a nord dell’abitato) consistenti in un centinaio di tombe a tegoloni  recuperate in tempi diversi insieme ad altre laterizie oltre ad alcuni avanzi di mura che non dovevano essere del tutto estranee al fatto che poco più a nord, o nella stessa zona, esistesse l’insediamento antico scomparso di Monteacuto. Ancora  il Colonna derivava dalla localizzazione dell’antica chiesa di S. Maria ad Sinellum due tombe a fossa maschili, una del VI secolo a.C. e l’altra del IV oltre a nove tombe ad inumazione senza corredo e due fosse di scarico d’età  romana. Tra il VII e il VI secolo a. Cr. va inoltre osservato che alle necropoli di Vasto, Villalfonsina e della contigua Carpineto s’andavano aggiungendo le prime tracce d’insediamenti stabili a Tornareccio e Villalfonsina. Nel periodo  che va dal V al IV secolo a. Cr., ossia il Piceno IVb V e VI, si hanno ritrovamenti sia in territorio più propriamente Pentro (Schiavi e Torrebruna) che in area frentana a Carpineto Sinello e Tornareccio ma anche a Fresagrandinaria e soprattutto a  Villalfonsina. Alle tombe italiche variamente riaffiorate a San Buono, Villa Ragna di Scerni, Gissi e Carpineto vanno ad unirsi perciò quelle che ormai appaiono vere e proprie roccaforti, perché generalmente localizzate in postazioni d’altura,  distribuite tra la contrada Moro di San Buono, con ogni probabilità proprio qui in Gissi e Monte Sorbo, e quindi Villalfonsina. Se questi ritrovamenti appartengono ai primordi dell’archeologia del territorio altri siti furono individuati in  seguito con materiali di varia natura dai frammenti fittili d’epoca romana di Colle della Cicuta o La Montagnola ai laterizi pure romani del Colle Sorbo o dei poderi Carugno e Marisi fino alle tombe e alle due statuette bronzee di Piano d’oro, le tombe a tegoloni del Casino Carunchio (toponimi a quota 350 mt. s. m. a nord dell’abitato e quota 165 mt. a nord-est) e le strutture individuate nel 1979 in un’area a sud-est del paese tra Cravara e Colle Montenero anch’esse  della romanizzazione. Il quadro che se ne deduce è quello d’un’area con buoni sistemi insediativi e soprattutto tali da coprire l’intero territorio che sviluppa a cavallo del fiume Sinello dividendosi a metà tra il settentrione  che s’incunea tra i territori di Scerni e Casalanguida e il meridione chiuso tra quelli di Carpineto Sinello, San Buono, Furci e, a nord-est, Monteodorisio. Benché la maggior parte dei reperti sembri collocarsi alla romanizzazione alcune sepolture  possono anche ascriversi come s’è visto alla fase precedente. Questo sistema di colonizzazione diffusa interseca poi la successiva fase di acquisizione del territorio che dipende dall’alto medioevo e poi dal medioevo: qui i rapporti testimoniali  s’arricchiscono per la presenza a nord dell’abitato di Monteacuto (che ritaglia il proprio territorio nella parte settentrionale dell’attuale) e di altri confinanti e coevi come la Ragna a nord e soprattutto il villaggio di Materno  a est appartenuto all’abbazia farfense di S.Stefano in Lucanìa (Tornareccio) e menzionato nella donazione di Ludovico Pio dell’829 quest’ultimi due sul territorio di Scerni ma immediatamente a confine con quello di Monteacuto di  Gissi. La colonizzazione dell’area riguarda però una fase molto anticipata e altomedioevale e già può considerarsi conclusa nel XII secolo, il castrum di Monteacuto infatti è all’epoca scomparso forse travolto dalla crisi del  sistema benedettino che faceva capo sia all’abbazia di Tremiti che al S.Stefano in Rivo Maris e da cui non sarà sufficiente la successiva immigrazione slava in Materno a risollevare la zona dallo stato di depauperazione demografica. Altro insediamento  scomparso e non meglio identificabile per ora a livello cronologico è quello di Colle Piancallaro (o Piancaldaia) (toponimo a quota 332 mt. s. m. a sud dell’abitato) la cui importanza è data dal fatto che venga a porsi in corrispondenza (leggermente  a ovest) del passo di furca che conduce a Furci (qualificando nella forma toponomasticamente quest’ultimo abitato) e forse da identificare con il sito di quella ecclesia S.Marie de Caldaro menzionata ancora nelle decime del 1324-25 se quest’ultima non va invece riferita a Gessopalena. S.Leonardo (toponimo a quota 356 mt. s. m. a nord dell’abitato), S.Andrea (toponimo a Ripa S.Andrea a quota 368 mt. c.a a nord), S.Giorgio (toponimo Colle S.Giorgio a quota 402 mt. a est) potrebbero  richiamare ad edifici o benefici ecclesiastici di chiese e cappellanie scomparse mentre attestati sono i clerici de Gisso nelle decime del 1324, clerici de Gisci in quelle del 1328, clerici de Gissu in quelle del 1326 con le chiese di S.Egidio (1324-25)  insieme alle altre di S.Valentino, S.Silvestro, S.Vittorino, S.Giuliano (quest’ultime però forse da riferire piuttosto a Gessopalena). Forse con Gissi (o ancora con Gesso Palena) è pure da identificare quel Gisso quae de giso est facta le  cui decime dei vivi e dei morti vengono dal vescovo di Chieti Roberto assegnate nel 1141 al priore dell’abbazia di S.Salvatore a Maiella Alessandro. Negli apprezzi delle proprietà D’Avalos compilati nel 1703 e 1742 compaiono anche le  due chiese extramurali di S.Rocco e S.Giovanni usate per accogliere i pellegrini perchè dotate di foresteria e la chiesa dedicata a S.Francesco oltre alla parrocchiale S.Maria Assunta. Negli stessi apprezzi è menzionata anche la Fonte S.Leonardo  da porre forse in relazione con la località omonima appena ricordata ma detta nell’apprezzo nella contrada Serre (toponimo Serra a quota 442 mt. s. m. a sud-est dell’abitato). Il rilevante numero di chiese cui s’aggiunge anche  quella di S.Lucia, cappelle e benefici ecclesiastici elencati conferma il richiamato livello insediativo del territorio tra il medioevo e il XVIII secolo nonostante la scomparsa di molte di esse e dello stesso insdiamento di Monteacuto. Lo spessore demografico  in parte dipendeva anche dagli effetti dell’economia gravitante intorno al braccio tratturale Lanciano-Vasto che transitava nella parte nord-orientale nei pressi di Casalforzato (Furci) e S.Pietro ad Aram (Montedoriso). La rilevanza dell’insediamento può ancor più essere evidenziata se si paragona con altri abitati: dal Catalogus Baronum, quand’era amministrato per conto del conte normanno di Loreto Giozzelino, Gissi dava quattro soldati a cavallo contro l’unico che  fornivano la maggior parte delle comunità limitrofe.La rilevanza dell’insediamento può ancor più essere evidenziata se si paragona con altri abitati: dal Catalogus Baronum, quand’era amministrato per conto del conte normanno di  Loreto Giozzelino, Gissi dava quattro soldati a cavallo contro l’unico che fornivano la maggior parte delle comunità limitrofe.La rilevanza è anche data dall’annotazione nel Libro di re Ruggero di Al-Idrisi della seconda metà del  XII secolo (con il toponimo G.ns). Il toponimo è palesente derivato dal latino gypsum ossia gesso con allusione alle formazioni di solfato di calce cristallino su cui l’abitato sorge e con cui il costruito è in gran parte realizzato e oggetto  d’una vera e propria fonte di reddito per la comunità allorchè viene cavato con contratti di privativa nel 1843. Gissi è coinvolta direttamente anche nella prima fase della penetrazione normanna in Abruzzo che proviene dalla Puglia risalendo  l‘Adriatico. Nel 1059-60 il conte di Capitanata Goffredo d’Altavilla, fratello di Guiscardo, invade il circondario di Termoli e, dopo aver espugnato il castello di Guillalmatum, si dirige verso Gissi prendendo anche la vicina Guilmi il cui  feudatario Gualtieri anch’esso normanno, ma avversario dei normanni pugliesi, viene catturato. Il tentativo d’impadronirsi della marca teatina tuttavia fallisce e la spinta verso nord viene, almeno in questa prima fase, fermata dalla morte  di Goffredo nel 1063. Detto nel 1173 il castello Gissi plebem S.Marie, da Carlo d’Angiò venne assegnato a Pietro della Penna in cambio dei servizi resi durante la battaglia di Tagliacozzo e dalla rileva dello stesso Carlo del 1279 appare assegnato  a Guglielmo d’Isnardo provenzale che ne possedeva la metà, conceduta già al nipote, sotto il valore di 24 once d’oro. Nel 1447, quando risultava di 128 fuochi, viene preso da Antonio Caldora per passare, dopo essere stato per qualche  tempo del principe di Conca Giulio Cesare di Capua, infine dal 1669 ai D’Avalos. Nel 1532 i fuochi ammontano a 124, 154 nel 1545, 169 nel 1561 quando l’abitato era entrato a far parte della contea di Monteodorisio (1555), 172 nel 1595, 130  nel 1648, 149 nel 1669, 156 nel 1732. Nella carta del Magini del 1620 compare con il nome Gesso.

Archeologia

La posizione, naturalmente fortificata, dell’altura sulla quale è sorto il nucleo più antico di Gissi, ne ha da sempre  determinato la funzione strategica. Genti di stirpe sabellica occuparono infatti il sito sin dall’età arcaica, e tracce nella necropoli relativa a tale insediamento sono venute alla luce nel 1892 sulla collina di S. Giovanni, ove “si  scopersero tombe e si raccolsero molti oggetti, di cui si serbano dal dottor Celidonio Marisi i seguenti: uno stamnos di bucchero italico … una cotyle anche di bucchero italico, rotta; una patina campana; frammenti di coppa sottilissima in bronzo;  frammenti di una cuspide di lancia in ferro; un pezzo di torques in bronzo con graffiti ad occhiello.” Non sappiamo se le mutate condizioni politiche e il nuovo ordinamento amministrativo instaurato in seguito alla Guerra Sociale (91-89 a.C.) abbiano  causato l’abbandono del centro fortificato d’altura, ma è probabile che la sua rioccupazione stabile possa risalire già ai secoli dell’alto medioevo, un periodo di grande instabilità che ha favorito la scelta di luoghi arroccati.  Il paese, tuttavia, viene citato per la prima volta in documenti del XII sec., quando si chiamava Gissum ed era pheudum iiij militum (feudo di quattro cavalieri) tenuto da Joczolinus, conte di Loreto. E di nuovo si deve evidenziare la rilevanza del sito,  sia dal punto di vista economico sia da quello strategico: lo dimostrano sia la quantità di cavalieri che consentiva di armare e l’importanza del suo feudatario, rampollo di una nobile famiglia normanna, sia la sua menzione nel “Libro  di re Ruggero” compilato da al-Idrïsï intorno alla metà del XII sec. Nel territorio di Gissi, sul pianoro della dorsale collinare che si erge sul lato sinistro della valle del Sinello, esisteva quindi un altro insediamento italico la cui  memoria si è sedimentata nella memoria popolare che conserva il ricordo di un paese abbandonato a causa di un’invasione di formiche. La fondatezza della tradizione è stata confermata già dal De Nino, che nel 1896 segnalava la scoperta  a Colle Rovelizio, nei pressi della masseria Marisi, di “un centinaio di tombe formate di tegoloni, disposti a prisma triangolare, così: tre tegoloni in fila orizzontale e altrettanti ai due lati inclinati ad angolo, come tetto: nelle congiunture  dell’angolo superiore, coppi. Alcune tombe erano senza opera laterizia. A capo dello scheletro, vasi simili ad olle e piccole lagene e urceoli. Sono stati scoperti anche alcuni avanzi di muri.” Dalla notizia del De Nino si poteva dedurre  l’esistenza di numerose sepolture del tipo detto “a cappuccina” e di una certa quantità di tombe a fossa, verosimilmente più antiche, contraddistinte da un corredo vascolare comprendente l’olla rituale, e questi dati  hanno ricevuto conferma da scoperte recenti. Tra il 1993 ed il 1994, infatti, sono state messe in luce, e in parte danneggiate, sei sepolture a fossa terragna con copertura in ciottoli databili tra il V ed il IV sec. a.C. ed una tomba a cappuccina che  il corredo in essa contenuto permette di collocare tra la fine del II e la prima metà del III sec. d.C. e costituisce dunque il segno di una continuità di vita, o almeno di un rioccupazione del sito in età imperiale. Le sei sepolture più antiche  sono poi riferibili a due nuclei cemeteriali localizzati rispettivamente a Colle Rovelizio e a Pian Querceto, ma le circostanze di rinvenimento, che si è configurato come un recupero e non come uno scavo estensivo, non consentono di stabilire se si  trattasse di un’unica vasta necropoli o se invece i diversi gruppi di tombe siano piuttosto attribuibili a diverse famiglie o clan, due ipotesi che però non si escludono a vicenda. Purtroppo i corredi recuperati sono pochi e incompleti, ma non  per questo meno importanti ai fini della ricostruzione del paesaggio artistico e culturale del territorio attribuito ai Frentani: i materiali documentano infatti una notevole permeabilità agli influssi culturali provenienti dall’area occupata  dai Dauni tradita dalla presenza costante dell’olla, che riprende spesso modelli della produzione sub-geometrica daunia, e dal rinvenimento di una coppetta di vernice nera sovradipinta importata quasi sicuramente dall’Apulia.

Tombe  e stazioni di età varie in Gissi

Ad Ovest di Gissi sorge una collina detta Sente Jenne dove c’è una chiesuola dedicata a S. Lucia. Nello scavare le fondamenta, l’anno 1892, si scoprirono tombe e si raccolsero molti oggetti: uno  stamnos di bucchero italico alto m. 0,28 col diam. m. 0,20 e base m. 0,13; una cotyle anche di bucchero italico, rotta; una patina campana; frammenti di coppa sottilissima di bronzo; frammenti di una lancia di ferro; un pezzo di torques di bronzo ad occhiello.  Al di sotto di queste tombe sprofondò il terreno, per rottura di una volta di costruzione antica. Forse poteva essere una cella mortuaria.


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